50 anni cancellati in 5 mesi. Senza motivazioni

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Si chiude il 1° marzo 2015. Come già sapete, l’Azienda ospedaliera ha confermato la chiusura del punto nascita di Cernusco S/N. Proprio “chiusura” e non “trasferimento” come sostenuto con un irritante cavillo linguistico dal direttore dell’ASL Mobilia, è il termine usato nello scarno e anonimo comunicato che il 5 febbraio ha confermato le intenzioni dell’Azienda di procedere con lo smantellamento del reparto (tra l’altro ristrutturato 14 mesi fa), così come deciso da ASL e Regione Lombardia lo scorso ottobre.

Il comunicato recita che concluse le “operazioni propedeutiche” necessarie, “è ora assolutamente improcrastinabile la data di chiusura del Punto Nascita di Cernusco determinata per il prossimo 1 marzo 2015”.

E si aggiunge che è importante che in questo mese di febbraio si “eviti l’insorgere di fraintendimenti, preoccupazione e disinformazione” tra gli utenti.

Disinformazione? Preoccupazione? Fraintendimenti?!
Questi sostantivi descrivono ciò che l’ASL e la Regione prima e la l’Ao poi hanno provocato, nei dipendenti e nell’utenza. Prima offendendo l’intelligenza di tutti cercando di giustificare questa operazione con delle pseudo-motivazioni che nel giro di 4 minuti e 40 potrete giudicare da soli in questo video, che invitiamo a condividere. Poi fingendo di intavolare una discussione coi sindaci dei comuni dell’ASL che evidentemente non avrebbe portato a nulla. E infine non fornendo tempistiche precise su questa “fase transitoria” fomentando un clima di tensione all’interno del reparto dell’ospedale Uboldo, e creando gravi disagi alle future mamme che chiedevano informazioni e che fino all’ultimo si sono iscritte ai corsi pre-parto perché desideravano partorire in quel presidio.

Chi ha scritto queste parole? Non è dato saperlo, dato che il comunicato non è firmato da alcun dirigente, ma porta in calce la dicitura “Direzione Strategica”, inaudito ufficio dell’Azienda ospedaliera di Melegnano.

L’amarezza profonda che queste parole irrispettose hanno provocato è ben riassunta da un messaggio che l’ex primario del reparto e presidente del Comitato “Salviamo la Maternità” dott. Lùvaro ha pubblicato a caldo sul proprio profilo Facebook. Ve lo riportiamo integralmente, perché fa ben comprendere il lato umano e professionale della vicenda, e rende onore a persone che – pur con la certezza di conservare il proprio posto di lavoro o di giungere a breve alla pensione – si sono battute come leoni contro questo scempio.

Ho trascorso più della metà dei miei anni presso il reparto di ostetricia di Cernusco sul Naviglio. Posso dire che quel reparto è stata la mia seconda casa. Ho condiviso per anni momenti di soddisfazioni professionali e anche momenti difficili con tutto il personale che si è dedicato all’evento nascita: personale dell’ostetricia, personale del nido, personale di sala operatoria. Abbiamo affrontato situazioni complesse senza perderci mai d’animo. Si sa che il lavoro di una sala parto può dare tante gioie ma anche, per fortuna rari, momenti di criticità con conseguenze catastrofiche.
Il reparto di Ostetricia di Cernusco in tutti questi anni è sempre stato considerato un punto di forza, di professionalità.
Tutto questo non interessa ai politici miopi.
A loro non interessa la funzionalità di un reparto, il giudizio dell’utenza.
Hanno soltanto un credo: il cosiddetto interesse di partito.
Con la chiusura del punto nascita di Cernusco si chiude un ciclo per avviarci verso una fase di incertezza.
È come se improvvisamente mi avessero privato di una parte del mio corpo.
Parte dei miei affetti si perdono nel nulla.
Ieri abbiamo assistito all’atto conclusivo.
Ci hanno liquidato con un laconico e squallido comunicato che non ha neanche una firma.
Ieri ho visto solo occhi tristi. Ho visto tanta solitudine. Ho visto solo gente che piangeva. Ho visto tanta rassegnazione mista a rabbia. Ho visto tanta impotenza.
Farò fatica a dimenticare quei volti.
Il quarto piano non sarà più il reparto che dà la vita.
Non ci saremo più al quarto piano ma lì resteranno per sempre i nostri sentimenti.
Ci divideranno ma i ricordi e i bellissimi momenti condivisi ci terranno sempre uniti.
Vi voglio bene.
Gaetano Luvaro

Queste sono le parole di chi vede l’impegno e i risultati di una vita di lavoro – propria e di tanti collaboratori – spazzati via in meno di 5 mesi, che smantellano un reparto aperto da 50 anni, senza uno straccio di motivazione. Parte del personale ostetrico e ginecologico sarà trasferito a Melzo, quello infermieristico smistato in reparti differenti. Un gruppo di persone affiatato non si costruisce dall’oggi al domani. Dividere questo team di professionisti vuole dire gettare alle ortiche un patrimonio di procedure e conoscenze che hanno portato il reparto a livelli qualitativi elevati.

Livelli qualitativi cresciuti nel corso degli anni. I due articoli qui sotto (cliccare per ingrandire) sono tratti rispettivamente dal giornale locale La gazzetta della Martesana del 13 febbraio 2006 e dalla rivista di settore Dolce Attesa di settembre 2006, e parlano da soli.

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Non più tardi dello scorso novembre lo stesso direttore Mobilia aveva pubblicamente riconosciuto che i parametri di qualità del reparto cernuschese erano ancora molto alti.

Questo non fa che alimentare i sospetti che dietro questa decisione non ci sia altro che l’interesse a favorire il trasferimento di parti e relativi rimborsi (1600 euro per ciascun parto naturale, quasi 3000 per i cesarei) altrove. E non certamente a Melzo.

Il fatto che le donne che oggi partoriscono all’ospedale Uboldo (provenienti per il 60% da Cernusco, Pioltello, Cologno Monzese e Brugherio) non si recheranno a Melzo ma altrove (curiosamente il San Raffaele ha inaugurato il suo nuovo reparto Materno-Infantile proprio il 5 febbraio) è anche dimostrato da un numerino in basso a sinistra nell’articolo di Dolce Attesa. Nel box arancione si legge un numero: 800.

E 800 erano i parti che l’ospedale di Cernusco sosteneva nel 2005, dieci anni fa. Nel 2013 erano calati a circa 600. Questo calo non si è ripercosso significativamente sul punto nascita di Melzo, che ha visto a sua volta calare i propri parti. Il cosiddetto “tasso di fuga” dal distretto di Cernusco non si è mai indirizzato verso est, ma verso ovest (San Raffaele e cliniche milanesi) e verso nord (Monza e Vimercate). E non basterà la BreBeMi o un’altra strada, fosse anche lastricata d’oro, a invertire questa direzione di marcia.

Ci vorrebbe ben altro. Ci vorrebbe magari il fantomatico Ospedale unico della Martesana, costruito da zero, nei giusti spazi, lungo la metropolitana 2, in posizione più centrale rispetto all’area ma non troppo da perdere utenza verso Milano e Monza (Villa Fiorita? Cassina? Bussero? Gorgonzola?), con personale di qualità e in numero sufficiente a garantire servizi oggi ritenuti essenziali, come la garanzia della partoanalgesia epidurale per dirne una.

Ma la Regione non vuole sentir parlare di ospedale unico. L’ha ribadito più volte, rifiutandosi di far eseguire persino il semplice studio di fattibilità, trincerandosi dietro ragioni economiche, quando il denaro per la costruzione dovrebbe attingerlo a un fondo nazionale, e non metterlo di tasca propria. Il disegno che si va delineando è quello di un Est milanese con una sanità incentrata sul polo privato del San Raffaele, e tale disegno diventa ogni giorno più chiaro. Altrimenti, in attesa dell’ospedale unico, si sarebbe potenziato il presidio di Cernusco, in zona più popolata, meglio collegato, con un numero di parti annui superiore a Melzo di 140-150 unità, un tasso di cesarei del 22,4% inferiore alla media regionale e rispettoso dei parametri di sicurezza stilati dal Ministero nel 2010, non per risparmiare denaro, ma per la salute di donne e neonati! Oppure si sarebbe decisa la costruzione del nuovo ospedale e mantenuto in vita entrambi i punti nascita transitoriamente.

Ma questo non è avvenuto. E l’unica speranza di vedere evitato questo inutile spreco di denaro, professionalità e qualità ora è legata all’esito delle azioni legali pendenti presso la Procura di Milano e la Corte dei Conti e nell’interrogazione al Ministero della Salute. Contro cui la Regione ha ingaggiato una corsa contro il tempo, arrivando a chiudere il reparto in più o meno metà del tempo di una gravidanza. E il risultato non poteva essere che un aborto. Di cui, siamo certi, quando si arriverà tra pochi anni alla soppressione anche del punto nascita di Melzo, nessuno si assumerà la responsabilità, e di cui nessuno pagherà le conseguenze.

“A loro non interessa la funzionalità di un reparto, il giudizio dell’utenza. Hanno soltanto un credo: il cosiddetto interesse di partito”.

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