Dibattito del 19: domande senza risposte / 2

Antonio Mobilia, direttore dell’ASL 2 Milano corresponsabile della decisione di chiusura della Maternità dell’Uboldo, si trova nella fossa dei leoni della platea cernuschese. Prende la parola dopo gli interventi precedenti, descritti nella prima parte di questo articolo.

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Sia il dott. Luvaro, che il moderatore, che altri ospiti, gli danno atto del coraggio di averci messo la faccia, mentre l’Azienda ospedaliera non ha risposto all’invito a questo evento, che pure la riguarda da vicino.

Probabilmente però Mobilia non sceglie le parole più adatte per cominciare un discorso davanti a una platea ostile. Definisce alcuni interventi precedenti “inesatti” e “tendenziosi”. Puntualizza che l’ASL ha tra i suoi compiti quello di garantire ai cittadini le cure “appropriate”, di concerto coi sindaci, per legge massima autorità sanitaria della propria città; che il decreto Balduzzi del 2010 e l’accordo Stato-Regione hanno lo scopo di migliorare le cure per i pazienti e non quello di fare economia risparmiando e basta; che è favorevole all’ospedale unico.

Ma quando vuole precisare che quella di Cernusco non è una chiusura ma un “trasferimento” iniziano a partire fischi ed urla da un pubblico che si sente “preso in giro”. Il moderatore deve intervenire più volte per calmare la gente in sala che purtroppo arriva agli insulti e a un comportamento a tratti davvero poco civile. Le proteste proseguono poco dopo, quando il dottore sostiene che bisogna considerare “il rapporto paziente-ginecologo”, come dire che a parer suo tutte le donne partoriscono nell’ospedale in cui lavora il proprio ginecologo e che sono disposte a seguirlo in capo al mondo, “c’è gente che viene dalla Sicilia a Milano”.

Mobilia ha difficoltà a riprendere la parola per cercare di descrivere le motivazioni che hanno portato l’ASL ad assumere quella decisione.

Parla dei diversi indicatori presi in considerazione (e – ndr – probabilmente più importanti dei criteri delle linee guida). Parla perciò di un indicatore di qualità, il quale però dice essere “molto buono” per Cernusco; parla del tasso di fuga (il 56% delle donne di Cernusco partoriscono fuori, il 31% in città, mentre “le donne di Melzo partoriscono a Melzo”) e di tasso di attrattività (non meglio descritto).

 La valutazione dell’ASL – condivisa da un “esperto di Regione Lombardia” non meglio identificato – ha dunque voluto favorire un ospedale in “posizione più centrale” con l’idea di aver scelto il punto nascita più adatto a “poter reggere i 1000 parti“, limite ultimo che entro un paio d’anni imporrà un’ulteriore razionalizzazione.

Mobilia dice di aver preparato “3-4 slide” con dati a supporto di questo ragionamento, ma poi si rifiuta di mostrarle, perché i dati sono dell’Ao di Melegnano e non dell’ASL, per cui “non sarebbe corretto” condividerli.

Riassumendo: il direttore generale dell’ASL di zona, con un passato di direttore dell’ospedale San Carlo di Milano e di un’ASL del Lazio, sostiene, senza supporto di dati e dettagli, che chiudendo il punto nascita di Cernusco (partorienti da Cernusco, Pioltello, Cologno…) che oggi fa 600 parti, li si trasferirà tutti all’ospedale di Melzo (partorienti da Melzo, Gorgonzola, Vignate…) che oggi conta 450 parti annui.

Questa ipotesi è talmente assurda che sarebbe interessante vedere dei dati che la suffragassero, ma questi a quanto pare non sono divulgabili.

Per capire l’assurdità di questa strategia è sufficiente guardare la mappa qui sotto. Immaginate di eliminare Cernusco e di prevedere dove il maggior numero di partorienti potrebbe rivolgersi, e poi fate lo stesso esperimento immaginando di togliere Melzo.

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Il maggior tasso di fuga dei distretti sanitari di Cernusco e Pioltello verso gli altri ospedali (nell’ordine S.Raffaele e poi Vimercate e Monza) rafforza a maggior ragione la nostra convinzione che la strategia di ASL e Ao sia suicida. O meglio, omicida nei confronti dei punti nascita di Cernusco prima e di Melzo poi, all’arrivo della mannaia dei 1000 parti.

Questo concetto è stato ribadito da Comincini, “è ovvio che se non hai ospedali grossi intorno partorisci lì per forza, mentre Cernusco ha più fuga perché vicino a strutture importanti”; da Luvaro, “Cernusco faceva 1200 parti nel 1980, ma ora ne fa oltre 600 nonostante il S.Raffaele!”, e ancora “Melzo non ha posti letto sufficienti, sala operatoria adiacente alle sale parto e altri requisiti strutturali per poter reggere i 1000 parti”.

La principale domanda in sala per il dott. Mobilia è stata esplicita: “pensa che chiudendo Cernusco le donne della zona andranno a Melzo o al San Raffaele?“. Dopo giri di parole e cambi di argomento il “non vi posso rispondere” di Mobilia ha chiuso una serata che lascia l’amaro in bocca: nessuno fornisce spiegazioni credibili a una decisione che è oggettivamente assurda rispetto agli scopi che dovrebbe prefiggersi. E questo è desolante e preoccupante, considerando il tempo che passa inesorabile avvicinando sempre più la data di chiusura del 1° gennaio.

Noi continueremo il nostro lavoro di diffusione e informazione. Auspichiamo che i sindaci ribaltino questa decisione insensata e che gli altri soggetti e la Regione tornino sui loro passi.

 


Foto tratta da: Lettera43

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