Una festa inaugura e chiude le nuove sale di Cernusco

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Si chiude con un boccone di torta, che ha certamente un sapore amaro, l’attività del punto nascita dell’ospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Sabato 28 febbraio, ultimo giorno di attività, si svolge una piccola celebrazione nella nuova sala parto – mai utilizzata – che idealmente la inaugura nel giorno stesso della sua chiusura definitiva.

Dopo 50 anni e con tutte le carte in regola dal punto di vista dei criteri di qualità e sicurezza imposti dal Ministero, il reparto viene chiuso per volere di ASL e Regione. Viene mantenuto aperto il punto nascita di Melzo, che tali criteri non rispetta dato che ha una percentuale di cesarei superiore alla media regionale, un numero di parti (407 nel 2013) inferiore a quello minimo richiesto di 500, e un nido più piccolo di quello di Cernusco che richiederà ulteriori lavori di ampliamento.

Ricordiamo che una decina di giorni prima della chiusura di Cernusco la ministra della Salute Beatrice Lorenzin aveva ribadito in un’intervista che i punti nascita sotto i 500 parti “sono pericolosi” e “devono chiudere”, pena il trasferimento per i dirigenti inadempienti.

Forse però il trasferimento, magari con buonuscita e lauto stipendio ad attendere il dirigente in un’altra struttura sanitaria, non è proprio un deterrente contro la malagestione. E quello che vi abbiamo raccontato in questi mesi appare davvero come un caso di malagestione della sanità e dei soldi pubblici.

Con il punto nascita chiude anche il pronto soccorso ginecologico che offriva un servizio prezioso per tante donne della zona.

I dipendenti e alcuni cittadini hanno tenuto una festa per chiudere “in bellezza” dopo tanti anni di successi. La scritta sulla torta parla chiaro: siamo stati grandi. Ed è vero. Qualità elevata, articoli su riviste specializzate come Dolce Attesa, rendono onore ai dipendenti di questa piccola eccellenza, che anni fa tanto piccola non era. Negli anni ’80 gestiva circa 1200 parti l’anno, nel 2004 circa 800, nel 2013 erano scesi intorno a quota 600.

Ma questa fuga dove si era indirizzata? Non certo verso Melzo, che ha visto a sua volta calare il numero dei propri parti, ma verso il San Raffaele (in primis) e secondariamente Vimercate (specie dopo l’apertura del nuovo ospedale nel 2010), Monza, Milano.

E l’ASL MI 2 cosa dice? In un video di Pioltello.tv il direttore sanitario Bellini risponde ad alcune domande. Mi permetto di dire, forse, malposte, o insufficienti. Ad ogni modo, dice che il sostenere che l’operazione favorisca il San Raffaele “è ridicolo” poiché volendolo favorire “avremmo semplicemente lasciato le cose come stavano, perché questi grandi ospedali non han bisogno di aiuto per attirare pazienti”. Mi permetto però di far notare che ricevere un flusso di 200 partorienti l’anno “in fuga” da Cernusco nell’arco di 10 anni e riceverne un numero almeno doppio nel giro di 6 mesi non è la stessa cosa. Anche perché i parti vogliono dire rimborsi, e quindi soldi. Tanti. 1600 euro per ogni parto naturale, quasi 2900 per un cesareo. Si parla di cifre attorno al milione, annuo. Senza dover fare nulla. Semplicemente chiudendo quello che appariva come un piccolo ma solido concorrente.

Ma Bellini insiste, Melzo è il punto nascita, anzi, l’ospedale su cui puntare. Questo sembrerebbe addirittura prefigurare un ruolo del Santa Maria delle Stelle come ospedale unico di zona. Un ospedale unico vecchio di 40 anni e lontano dalla linea metropolitana che invece attraversa l’intera Martesana. Demenziale.

Il primo passo sembra dunque essere l’accentramento a Melzo delle attività di ostetricia e ginecologia. Ma il dott. Rottoli, primario di Pediatria in entrambe le strutture, dice che il punto nascita di Melzo ha un nido più piccolo di quello cernuschese. E i punti che porta a favore di Melzo semplicemente non sono veri: anche a Cernusco esiste il rooming-in, e la sala operatoria attigua alla sala parto a Cernusco c’è. dal 2013. Inutilizzata perché mai autorizzata ad entrare in funzione. Con uno spreco di denaro pubblico per circa 600.000 euro.

A questo punto non resta che aspettare il verdetto del Ministero e della magistratura, che stanno lavorando per valutare la legittimità della decisione della Regione. E soprattutto la parola ai fatti: se nel 2015 Melzo non raggiungerà almeno quota 600 parti – che Cernusco già faceva – sarà chiaro a tutti il fallimento dell’operazione. O il suo successo, dipende da quale sia il suo vero scopo.

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